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Screening oncologici

GLI SCREENING ONCOLOGICI

Gli screening oncologici, ovvero i programmi per la diagnosi precoce del cancro offerti ad alcuni gruppi di popolazione e in certe fasce di età, salvano molte vite. Offrono, infatti, la possibilità di diagnosticare un tumore in fase il più possibile iniziale, quando le probabilità di cura sono maggiori. In molti casi il tumore precoce, o le lesioni che lo precedono, non danno sintomi che farebbero correre dal medico. Anche per questo gli screening sono particolarmente importanti. Prima infatti si scopre un tumore e meglio è possibile affrontarlo, in tempi più ridotti e con terapie meno invasive.
Gli screening, insieme ai risultati della ricerca e a terapie sempre più mirate ed efficaci, nel corso degli anni hanno contribuito a ridurre la mortalità per i tre tipi di tumore ‒ il carcinoma del colon-retto, quello della cervice uterina e quello della mammella ‒ oggetto dei programmi nel nostro Paese.

 

Lo screening mammografico


La mammografia è l’esame radiografico che consente di visualizzare precocemente la presenza di noduli al seno, non ancora palpabili, che possano essere causati da un tumore. Per le donne tra i 50 e i 69 anni, lo screening prevede l’esecuzione della mammografia ogni due anni. In alcune Regioni, in via sperimentale, lo screening è esteso alle donne con età compresa tra i 69 e i 74 anni e a quelle tra i 45 e i 49 anni. In quest’ultima categoria di persone, è previsto che la mammografia sia effettuata ogni anno.

Lo screening cervicale


L’obiettivo è individuare le lesioni precancerose e i tumori della cervice uterina in fase iniziale, ma anche la presenza del virus HPV che ne è la causa. Sono utilizzati due tipi di test: l’HPV test ricerca il DNA dei ceppi di Papilloma Virus ad alto rischio oncogeno, è rivolto alle donne tra i 30 e i 65 anni e va ripetuto ogni 5 anni. Tra i 25 e i 29 anni l’esame di riferimento è invece il Pap test, da effettuarsi ogni 3 anni. Anche le donne vaccinate per l’HPV sono invitate ad aderire allo screening, perché vaccinarsi diminuisce il rischio di ammalarsi ma non lo annulla del tutto.

Lo screening colorettale


Il test più frequente è la ricerca di sangue occulto nelle feci. Va fatto ogni 2 anni tra i 50 e i 69 anni per individuare tracce di sangue non visibili a occhio nudo, ma che possono essere il segnale della presenza di tumori o di polipi, lesioni benigne della mucosa intestinale che vanno asportate perché nel tempo possono trasformarsi in cancro. Se l’esame è positivo si procederà con la colonscopia per esaminare l’intero colon-retto. Alcuni programmi di screening prevedono invece la rettosigmoidoscopia, eseguita una sola volta intorno ai 58-60 anni: è un esame endoscopico che permette di osservare l’ultima parte dell’intestino, dove si sviluppa il 70 per cento dei tumori del colon-retto.

 

I numeri degli screening e la pandemia da Covid-19

Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale screening, nel periodo compreso tra il primo gennaio 2020 e il 31 maggio 2021 è calato drasticamente il numero delle persone che hanno fatto i test di screening. La diminuzione è stata del 35,6 per cento circa per lo screening della cervice uterina, del 28,5 per cento per quello della mammella e del 34,3 per cento per quello del colon-retto.

“Siamo preoccupati perché lo slittamento degli screening porta inevitabilmente a un ritardo diagnostico” spiega Francesco Perrone, presidente eletto dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), e ricercatore AIRC. “Oggi scopriamo tumori in stadi più avanzati: per il carcinoma della mammella, per esempio, questo si traduce in minori possibilità di effettuare una chirurgia conservativa o nella necessità di sottoporre le pazienti a trattamenti precauzionali e, dunque, a un percorso più difficile. Purtroppo i danni provocati dal Covid in oncologia continueremo a registrarli nei prossimi anni.”
C’è la volontà di recuperare, ma il ritardo diagnostico accumulato, purtroppo, evidenzierà quadri clinici più compromessi. Per questo siamo tutti chiamati a reagire: “Da un lato è necessario che il numero degli inviti inviati torni a essere quello che era prima della pandemia, o anche più alto. Un compito che spetta alla sanità e alle Regioni stesse con un’organizzazione adeguata, individuando con rapidità le azioni più appropriate” spiega Perrone. “Dall’altro, e questo è un appello rivolto a tutti, quando si riceve la lettera o la telefonata per aderire a uno screening, bisogna dire di sì senza incertezze o timori. Gli oncologi italiani si sono mobilitati su entrambi i fronti, da un lato mostrando che il problema esiste e richiede interventi di tipo strutturale e dall’altro continuando a fare cultura della prevenzione.”

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